Cinema al 100 per cento, ecco le recensioni dei film in sala dal 16 marzo
Grazie al passaparola, macina spettatori il bel noir/poliziesco di Andrea Di Stefano con Pierfrancesco Favino (L’ultima notte di Amore). Escono in sala “What’s love?”, la commedia “etnica” firmata da Shekhar Kapur e la favola egiziana “Il Capofamiglia” di Omar El Zohairy. Tonfo italiano per l’opera seconda di Stefano Cipani – Educazione fisica – scritta dai fratelli D’Innocenzo
L'ULTIMA NOTTE DI AMORE | EDUCAZIONE FISICA | WHAT’S LOVE | IL CAPOFAMIGLIA
L’ULTIMA NOTTE DI AMORE
Regia: Andrea Di Stefano
Cast: Pierfrancesco Favino, Linda Caridi, Antonio Gerardi, Francesco Di Leva
Durata: 120’
Franco Amore (Pierfrancesco Favino) è un poliziotto della squadra mobile “che non ha mai sparato a un cristiano”. Dopo 35 anni di servizio a Milano è pronto alla pensione. Qualche giorno prima del congedo, Amore intravede un’occasione, una sorta di risarcimento morale (ed economico) ad una carriera senza grandi soddisfazioni professionali, forse frenata anche dall’aver sposato una donna (una superlativa Linda Caridi), cugina di due ‘ndranghetisti calabresi. L’incarico non sembra troppo rischioso: scortare in auto una donna cinese che porta un carico prezioso.
Sulla tangenziale, però, qualcosa va storto e Amore si trova ad affrontare un’ultima notte di servizio che cambierà, per sempre, la sua vita e quella degli altri.
Andrea Di Stefano firma un noir/poliziesco molto solido, costruito come un lungo flash-back che, lentamente, scioglie i nodi di una storia costruita con rigore e ambientata in un dedalo notturno di strade, specchio di una ragnatela di connivenze e di giochi sporchi al centro della quale si trova Amore.
Di Stefano riesce a compenetrare il genere in una riflessione più universale sulla fallibilità di un uomo fondamentalmente onesto che il destino (innescato dal moto di rivalsa) mette alla prova. Stritolato dagli eventi, il personaggio di Amore resto sospeso tra la paura di perdere tutto e il rispetto delle regole, un dissidio che rivela anche il suo abbigliamento di quella notte: una giacca elegante sopra una tuta sportiva, come due anime diverse che il caso vuole sovrapposte in quel frangente unico, eccezionale.
Senza “mangiarsi” il film, Favino corre a perdifiato lungo la statale, trova il coraggio di ribaltare gli eventi, in attesa che spunti la luce del giorno, anche se le ombre della notte restano sempre in agguato. (Marco Contino)
Voto: 7
***
EDUCAZIONE FISICA
Regia: Stefano Cipani
Cast: Claudio Santamaria, Giovanna Mezzogiorno, Sergio Rubini, Angela Finocchiaro, Raffaella Rea
Durata: 88’
“Mio fratello rincorre i dinosauri” era un’opera prima con qualche fragilità da vedere più con il cuore che con sguardo critico. Un approccio indulgente verso il nuovo film di Stefano Cipani – Educazione fisica – non sarebbe onesto, soprattutto perché il progetto è decisamente più ambizioso, nella forma e nei contenuti.
Il film, scritto dai fratelli D’Innocenzo a partire da un testo teatrale di Giorgio Scianna (La palestra), è un kammerspiel ambientato interamente nella palestra di una scuola della periferia di Roma. La preside dell’istituto (Giovanna Mezzogiorno) ha convocato d’urgenza i genitori di tre studenti di terza media. All’appuntamento si presentano il ricco e cinico padre di Christian (Claudio Santamaria), la mamma divorziata (Raffaella Rea) di Giordano e i più umili genitori adottivi (Sergio Rubini e Angela Finocchiaro) di Arsen.
Il motivo della convocazione è sconvolgente: la preside informa i genitori che i loro figli sono gli autori di uno stupro di gruppo ai danni di una loro coetanea di cui la docente ha raccolto la confessione. La notizia scatena le reazioni peggiori da parte dei genitori che passano dall’incredulità, alla criminalizzazione della vittima, con goffi e squallidi tentativi di minimizzare l’accaduto. La discussione precipita molto presto…
L’operazione di Cipani non è né nuova né originale, basti pensare al “Carnage” di Polański ma anche, senza scomodare mostri sacri, al film di Ivano De Matteo “I nostri ragazzi”. L’intento è, evidentemente, quello di mostrare l’implosione di un gruppo di persone (amplificato dall’ambientazione claustrofobica) e la violenza che finisce per trasfigurarne perfino i tratti somatici di fronte ad una accusa enorme rispetto alla quale difetta in loro qualsiasi barlume di empatia o di solidarietà per la vittima, anche di fronte all’evidenza.
Sorvolando sulla verosimiglianza della situazione che già mette a dura prova lo spettatore, il film crolla su dialoghi imbarazzanti che, al limite, avrebbero dovuto spingersi sul terreno del grottesco o dello humor nero ma che, così governati, restano solo parole vuote (se non addirittura offensive in alcune digressioni ironiche). Ma, di fondo, a essere insopportabile è la volontà programmatica di mettere in scena questa fiera dello squallore (tema caro ai fratelli D’Innocenzo), di sfiancare lo spettatore con la rappresentazione del grado di abbrutimento cui può arrivare l’uomo in situazioni limite, di compiacersi di tutto ciò e, naturalmente, di calare il tutto nella dimensione scolastica per fare più “rumore”. Un film sbagliato di cui gli stessi attori restano vittime. (Marco Contino)
Voto: 4
***
WHAT’S LOVE
Regia: Shekhar Kapur
Cast: Lily James, Shazad Latif, Emma Thompson
Durata: 109’
Un po’ bollywood, un po’ (di più) british, il film di Shekhar Kapur (già regista di “Elizabeth” ed “Elizabeth: The Golden Age”) si diverte a giocare con gli stereotipi etnici, in modo gustoso e divertito, pur con qualche concessione all’happy end.
Merito non solo delle contaminazioni culturali di Shekhar Kapur, che è nato a Lahore, ma anche della giornalista e produttrice anglopakistana Jemima Goldsmith (al secolo Jemima Khan) che firma la sceneggiatura. Il tema centrale è quello dell'amore e del matrimonio, libero o combinato.
Zoe è una documentarista inglese di successo, il suo vicino di casa Kazim un oncologo di origine pakistana, le loro famiglie sono cresciute fianco a fianco nella Londra multietnica. Quando Kazim comunica a Zoe di volersi sposare secondo la tradizione, ovvero lasciando scegliere la sposa ai genitori, Zoe decide di girare un documentario sui matrimoni combinati (anzi, "assistiti", come si dice oggi) dal titolo Love (contr)actually.
Così, spaziando tra Londra e il Pakistan, Zoe e Kazim faranno i conti con le proprie tradizioni e con mamme più o meno invadenti. Zoe seguendo Kazim nel suo viaggio a Lahore, per documentare il matrimonio con la donna sconosciuta, inizia a domandarsi se questa esperienza e questa cultura possano insegnarle qualcosa sulla ricerca dell'amore, per lei sempre alla ricerca del cavaliere azzurro, che stronca regolarmente. Ma le risposte non sono così facili.
Commedia piacevole, che usa gli stereotipi come pretesto per entrare nella critica di costume, “What’s love” è disseminato di gag divertenti che mettono bene alla berlina i modi di pensare dei presunti integrati progressisti, come quando la madre di Kazim chiede a un improbabile agente matrimoniale, di trovare una moglie ideale per suo figlio come "musulmana, non troppo femminista e non troppo scura di pelle, possibilmente beige".
Anche la rilettura femminista delle favole più antiche, pur già vista, assume qui un valore strutturale che alla fine trionfa, come sarebbe piaciuto a Charles Perrault e ai fratelli Grimm. (Michele Gottardi).
Voto: 6,5
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IL CAPOFAMIGLIA
Regia: Omar El Zohairy
Cast: Samy Bassouny, Mohamed Abd El Hady, Fady Mina Fawzy
Durata: 114’
Un po’ Ciprì&Maresco, un po’ fratelli Kaurismaki, il film di Omar El Zohairy racconta di una periferia terribile e grigia, che odora di sporco e di morte come se uscisse dallo schermo.
In un rifugio, che chiamarla casa è troppo, durante una festa di compleanno di un bambino, un presunto mago trasforma l’autoritario patriarca di una famiglia egiziana in un pollo. Da questo momento in poi le cose cambiano per tutti, a partire dalla madre, che dopo aver dedicato tutta la sua vita a marito e figlio, si ritrova a dover prendere il controllo della situazione e provvedere alla famiglia.
Mentre cerca in ogni modo di tenere al sicuro il marito e riportarlo in forma umana, la donna dovrà affrontare una grande trasformazione personale, prendendo coscienza progressivamente del proprio ruolo.
Con una narrazione asciutta, minimalista, metaforica, quasi scostante, El Zohairy descrive località imprecisate, zone industriali da terzo mondo, ma evoca dittature maschili e politiche. Come gli autori citati in apertura, mescola dramma, toni da fiaba e realismo, solo che qui non c’è ironia, ma molta critica sociale.
L’Egitto che ne esce è un non luogo, dove i soldi entrano ed escono dalle tasche dei proletari delle periferie verso altre mani, malandrine e di potere. La Primavera egizia è molto lontana. Premiato al Festival di Torino. (Michele Gottardi)
Voto: 6
Pubblicato su La Nuova Venezia