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Morte di Stefano Gheller, il suo messaggio resta vivo

Dopo tutto quello che ha sofferto per 35 dei suoi 51 anni di martoriata esistenza, Stefano Gheller non merita di essere ridotto a icona di una battaglia in cui ha pagato di persona il prezzo di una delle più eclatanti vergogne italiane: l’assenza della politica

Un uomo, e basta: finalmente, soltanto un uomo. Dopo tutto quello che ha sofferto per 35 dei suoi 51 anni di martoriata esistenza, Stefano Gheller non merita di essere ridotto a icona di una battaglia in cui ha pagato di persona il prezzo di una delle più eclatanti vergogne italiane: l’assenza della politica.

Che sia un addio il più possibile senza voce, quello dell’estremo saluto che gli verrà reso questa mattina nella chiesa di San Giuseppe a Cassola; perché solo così sarà possibile ascoltare davvero, fino in fondo, il messaggio di vita che Stefano ci lascia nel momento della morte.

Che il tributo del silenzio attorno alla sua figura valga a mettere in risalto e a denunciare l’ipocrisia di chi, di fronte ai tanti casi come il suo, si esibisce in profluvi di parole strumentali; ma tace sui fatti concreti.

È una doppiezza che dura ormai da troppo tempo: da quel 2009 in cui in Friuli cessò di vivere Eluana Englaro.

Da un minuto dopo, i partiti promisero solennemente di varare una legge in materia: sono passati inutilmente 5494 giorni, 180 mesi, 15 anni, senza vedere il risultato; ad oggi c’è un testo inchiodato da due anni in Senato senza che si parli di affrontarlo; la Corte Costituzionale ha inutilmente richiamato il Parlamento al suo dovere, fino a sostituirsi ad esso. In assenza di regole omogenee a livello nazionale, il risultato è una giungla di migliaia di casi individuali trattati in modi diversi: in cui comunque i malati e i loro familiari vengono abbandonati alla loro sofferenza, per dedicarsi a polemiche sterili e spesso pretestuose.

Con una politica che continua a sottrarsi al compito di affrontare davvero il tema del fine-vita: come dimostrano altre due leggi in materia, sulle cure palliative e sul testamento biologico, adottate da anni ma ancora largamente inapplicate.

La responsabilità primaria di questo stallo ricade sui partiti, colpevoli del reato di ignavia, che considerano la materia alla stregua di tutte le altre della loro agenda, grandi o piccole che siano: oggetto di ricerca del consenso, in nome di uno squallido accattonaggio elettorale. Atteggiamento miope, alla luce di quanto segnala l’ultimo rapporto Censis, e cioè che la stragrande maggioranza degli italiani è favorevole a una morte il più possibile senza lungo e straziante dolore. Che a prevalere debba essere la dignità della persona, lo dice oltretutto chi ne cura la salute, come ha spiegato con esemplare chiarezza uno dei medici che ha seguito la richiesta di suicidio assistito presentata da Stefano Gheller: “Non è etico complicare la vita alle persone in una fase in cui sono estremamente vulnerabili”.

Parole al vento: è abissale la distanza tra la politica di oggi e la vita quotidiana di uomini e donne. Di cui ci si occupa solo quando diventano bandiere da agitare in battaglie strumentali, salvo ammainarle il giorno dopo. “Mi sono stancato di sentire in televisione le solite vostre campane”, aveva scritto pochi mesi fa Stefano Gheller, nella lettera indirizzata a partiti e istituzioni, una vera e propria accorata quanto indignata preghiera laica.

Oggi che finalmente si è affrancato dalla sofferenza, almeno oggi che non può sentire, risparmiamogli il rumore indebito che l’ha accompagnato in vita. E stringiamoci attorno a lui per dire addio a un uomo, non ad un’icona.

Pubblicato su La Nuova Venezia