Addio, Rombo di tuono

Addio a Gigi Riva, il capocannoniere più forte di sempre in Italia. Quella volta che disse no alle grandi e scelse la Sardegna come casa del cuore

Rombo di tuono o sinistro di Dio che fosse, Gigi Riva veniva dal cielo bello della Lombardia e ha finito la sua corsa nel mare terso della Sardegna. È stato un calciatore formidabile e un uomo superato nella sua grandezza solo da tristezza e complessità.

La biografia

Orfano bambino, cresciuto tra il collegio e la sorella in quel di Leggiuno, vicino a Legnano, trovò ben presto nel calcio la sua consolazione. Bravo fin da giovane, promessa mantenuta a Cagliari, Riva è cresciuto con un vuoto nel cuore e un’ingiustizia da riparare.

Perché il destino gli aveva tolto i genitori? È stato probabilmente questo suo rincorrere la vita a farlo sgambettare sui campi di calcio, a scoprire la forza delle sue leve potenti, a esplodere la violenza dei suoi tiri. Non sapeva dove sarebbe arrivato e, probabilmente, nemmeno gli importava. Sapeva però che sarebbe diventato un uomo solo correndo, saltando, tirando. Non che bastassero, in generale, ma quando il destino ti assegna il talento, quelli come Riva sentono il dovere di coltivarlo, di non buttare niente, di imparare anche dalle spigolature.

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Cagliari è stata la sua Itaca. È vero che non ci era mai stato e che, quando la vide, per la prima volta, dall’aereo, pensò all’Africa, l’unico pensiero di cui ebbe a vergognarsi, nel suo rapporto sensuale con la Sardegna. Vero anche, tuttavia, che Riva ha fatto per l’isola, quello che sta facendo Sinner per l’Alto Adige: integrarla nell’Italia. Solo che diversamente da Jannick, che in Alto Adige ci è nato, il suo, essendo un amore elettivo, era molto più forte.

Riva è stato un condottiero, ma di quelli silenziosi. Solo nella maturità, quando l’età l’aveva addolcito, raccontò di quando, in giro per l’Italia continentale, chiamavano lui e i suoi compagni di squadra “pecorai”.

Negli anni Settanta non andava di moda creare casi mediatici. Insulti o discriminazioni che fossero, l’unica via conosciuta era giocare a calcio meglio degli avversari e batterli.

Il mondo del calcio di Riva

La stagione 1969/’70 fu clamorosa. Non solo perché il piccolo Cagliari, che giocava nello stadio vetusto dell’Amsicora, vinse lo scudetto contro le grandi del nord, ma perché quella squadra, quasi del tutto priva di sardi, era un incrocio di provenienze di calciatori non esattamente fenomenali, guidati dall’affabulazione segaligna di Manlio Scopigno, che filosofeggiava del calcio perché guardava alla vita. Una squadra proletaria che aveva un terminale offensivo implacabile in Gigi Riva, detto anche Luispon da Gianni Brera, lo scrittore che lo aveva ribattezzato Rombo di tuono.

Riva non ha segnato più di tutti solo nel Cagliari. Lui è ancor oggi il capocannoniere di tutti i tempi della Nazionale italiana. Con la quale ha vinto l’Europeo del 1968, sfiorato il Mondiale del 1970 in Messico e alla quale ha regalato due gambe, spezzate in tempi diversi, infortuni dai quali si riprese assai più velocemente rispetto alle terapie dell’epoca.

Quando disse no alle grandi

Riva è stato la Sardegna e ha giocato solo nel Cagliari. Lo volevano la Juventus, l’Inter, il Milan, ma lui disse sempre di no a tutti per una forma di amore che si mescolava al pudore: «Non credo – ammise una volta – di valere i soldi che mi dicono. Nessun calciatore li può valere». Anche per questo è stato un calciatore etico.

Da dirigente – prima al Cagliari e poi team manager della Nazionale azzurra dal 1990 al 2013 – è stato sempre dalla parte dei calciatori. E, se ha vinto il Mondiale del 2006 con Marcello Lippi, ha anche perso quello del 1994 con Arrigo Sacchi.

Il caldo, i crampi, il sudore, le lacrime e Roberto Baggio, che lui aveva sostenuto in una prima fase del tutto anonima, che sbaglia il rigore della consacrazione.

Riva che segna, Riva che esulta, Riva che consola, Riva dai lunghi silenzi affogati nella fumo della sigaretta sempre accesa, Riva vittima del male oscuro, una depressione che lo aveva ancor più incatenato alla casa e alla famiglia. Sapeva e aspettava. La fine è arrivata senza sorprese.

Pubblicato su La Nuova Venezia