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Morto Matteo Messina Denaro: 30 anni di latitanza, la malattia e l’arresto. Saviano: “L’Italia continua a essere un paese a vocazione mafiosa”

Le condizioni dell’ex boss mafioso, 61 anni, erano drasticamente peggiorate negli ultimi giorni. Non si è mai pentito

È morto all’ospedale San Salvatore dell'Aquila, dove era stato trasferito l’8 agosto scorso, Matteo Messina Denaro. Il tumore al colon, in uno stadio avanzato, negli ultimi tempi aveva fatto peggiorare le condizioni generali del boss.

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Denaro era sottoposto alla terapia del dolore e alla nutrizione parenterale per il sostegno fisico. Le cure in ospedale erano state chieste nelle scorse settimane anche dai legali e dai familiari. Nelle ultime ore l’aggravamento delle condizioni, alternava momenti di lucidità in cui appariva persino di buonumore e si alzava dal letto a momenti di grande debolezza. I medici infine hanno deciso di sospendere le cure, e di proseguire soltanto con la terapia del dolore.

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Accanto a lui i familiari: si sono trasferite all'Aquila e sono presenti fisicamente fuori dalla struttura sanitaria la nipote e legale Lorenza Guttadaurio e la figlia Lorenza riconosciuta recentemente. In particolare, la nipote è assidua nelle visite per stare al capezzale dello zio; il padrino non avrebbe voluto invece vedere la figlia, incontrata per la prima volta ad aprile nel carcere di massima sicurezza dell'Aquila, proprio per non farsi trovare con il fisico e, a volte anche la mente, provato duramente dalle conseguenze della malattia.

«Matteo Messina Denaro (1962-2023), assassino. Il boss è morto, l'Italia continua a essere un paese a vocazione mafiosa». A scriverlo, su X /Twitter) è Roberto Saviano, dopo la morte del boss mafioso Matteo Messina Denaro.

Chi era il boss

Noto anche con i soprannomi “U siccu” e “Diabolik”, legato a Cosa nostra, era considerato tra i latitanti più pericolosi e ricercati al mondo. «Figlio d’arte», il padre, «don Ciccio» fu capo della mafia trapanese, ha trasformato Cosa Nostra strappandola alla tradizione del feudo per catapultarla nel mondo delle imprese. Era latitante dall'estate del 1993, quando in una lettera scritta alla fidanzata dell'epoca, Angela, dopo le stragi mafiose di Roma, Milano e Firenze, preannunciò l'inizio della sua vita da Primula Rossa. «Sentirai parlare di me - le scrisse, facendo intendere di essere a conoscenza che di lì a poco il suo nome sarebbe stato associato a gravi fatti di sangue - mi dipingeranno come un diavolo, ma sono tutte falsità».

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Una latitanza durata 30 anni, finita in un lunedì mattina di tranquillità tra le strade di Palermo il 16 gennaio 2023, il giorno che passerà alle cronache per essere quello in cui è stato arrestato Matteo Messina Denaro, l'ultimo superlatitante di cosa nostra. Sessantuno anni compiuti ad aprile, il capo del mandamento di Castelvetrano e boss della mafia nel Trapanese era entrato in latitanza nel 1993 in piena epoca stragista con le bombe a Roma, Milano, Firenze ed era uno dei maggiori ricercati al mondo. A novembre di quell'anno si rese responsabile di uno dei fatti di sangue più macabri della sua carriera criminale, organizzando il sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, 13enne figlio di un pentito, per costringere il padre a ritrattare le rivelazioni rese agli inquirenti sulla strage di Capaci. Il ragazzo venne strangolato e il cadavere sciolto nell'acido dopo una lunga prigionia durata 779 giorni. Storico alleato dei Corlenonesi di Toto Riina, fu Paolo Borsellino a iscrivere il nome di Messina Denaro per la prima volta in un fascicolo giudiziario nel 1989. Da allora il boss è stato raggiunto da mandati di cattura per associazione mafiosa, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materiale esplosivo, furto e numerosi altri reati. Qualche tempo fa è stata anche sentita la sua voce comparsa da un vecchio nastro processuale. Noto anche come U siccu per la corporatura magra, l'ultimo capo dei capi è stato più volte vicino alla cattura negli anni. Nel 2010 un collaboratore di giustizia dichiarò che Messina Denaro avrebbe assistito a una partita del Palermo allo stadio Barbera utilizzando l'occasione per incontrare altri boss con i quali organizzare attentati dinamitardi contro il Palazzo di Giustizia e la squadra mobile di Palermo. Nel 2015 l'emittente Radio Onda Blu avrebbe diffuso le immagini satellitari di una sua presunta abitazione a Baden in Germania e di una sua auto.

Tra legami internazionali in sud America e sospetti di vicinanza alla politica, sarebbe sempre scampato alla cattura. L'arresto è avvenuto la mattina del 16 gennaio quando i carabinieri del Ros lo hanno circondato alla clinica La Maddalena di Palermo dove era in cura per un cancro al colon. L'ex primula rossa fino alla fine ha deciso di non pentirsi. Il 5 febbraio il Ros diffonde un audio di Messina Denaro intercettato in auto il 23 maggio 2022, nel trentennale della strage di Capaci in cui perse la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. «Questo telefono non mi prende stamattina e io qua, bloccato con le 4 gomme a terra, cioè non bucate, sull'asfalto, che non si muovono per le commemorazioni di 'sta minchia», dice ai suoi. «Voi mi avete preso per la mia malattia», riferisce ai pm nell'interrogatorio di garanzia.

L’arresto

Nessun pentito. Alla cattura del boss i magistrati palermitani e i carabinieri del Ros sono arrivati con quella che si definisce un’indagine tradizionale. Da almeno tre mesi gli inquirenti analizzavano le conversazioni dei familiari del capomafia intercettati. Spunti e battute di chi sa che è sotto controllo, ma non può fare a meno di parlare da cui è emerso che il padrino di Castelvetrano era gravemente malato, tanto da aver subito due interventi chirurgici. Uno per un cancro al fegato, l'altro per il morbo di Crohn. Una delle due operazioni peraltro era avvenuta in pieno Covid.

Sono partite da qui le indagini. I magistrati e i carabinieri hanno scandagliato le informazioni della centrale nazionale del ministero della Salute che conserva i dati sui malati oncologici. Confrontando le informazioni captate con quelle scoperte gli inquirenti sono arrivati a certo un numero di pazienti. L'elenco si è ridotto sulla base dell'età, del sesso e della provenienza che, sapevano i pm, avrebbe dovuto avere il malato ricercato. Alla fine tra i nomi sospetti c'era quello di Andrea Bonafede, nipote di un fedelissimo del boss, residente a Campobello di Mazara.

Dalle indagini però è emerso che il giorno dell'intervento scoperto grazie alle intercettazioni Bonafede era da un'altra parte. Quindi il suo nome era stato usato da un altro paziente. Le indagini hanno poi confermato che stamattina Messina Denaro, alias Bonafede, si sarebbe dovuto sottoporre alla chemio. Certi di essere molto vicini al capomafia i carabinieri sono andati in clinica. Messina Denaro era arrivato con il suo favoreggiatore a bordo di un'auto. Vedendo i militari ha fatto per allontanarsi, ma è stato bloccato.

Il commento del fratello di Borsellino

«Se fossi credente, visto che non c'è stata una giustizia in terra, potrei confidare in una divina, purtroppo essendo laico non posso sperare neppure in quella. L'arresto di Matteo Messina Denaro non è stata una vera e propria cattura, sapeva di essere malato e ha pensato di farsi curare dallo Stato invece che in latitanza. Oggi, con la sua morte si porta i suoi terribili segreti nella tomba. D'altra parte era impensabile che un criminale di quello spessore si potesse pentire. Era assolutamente improbabile». Parole di Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, ucciso nella strage di via D’Amelio insieme agli agenti della scorta, dopo la morte dell'ex primula rossa. «Con la sua fine non credo si chiuda niente - aggiunge -. La mafia non è stata sconfitta, anzi è più forte di prima. Non parlo di quella degli anni '90, della Cosa nostra stragista, ma di una mafia molto più pericolosa, che si è insinuata nell'economia, nelle amministrazioni, che è si resa invisibile e che, per questo motivo, è difficile da scoprire ed estremamente più pericolosa". C'è amarezza nelle parole del fondatore del movimento delle Agende rosse. "Non ho motivo per rallegrarmi. Penso solo che oggi è morto un criminale, ma nessuno mi ridarà mio fratello né la verità sulla strage in cui ha perso la vita».

Pubblicato su La Nuova Venezia