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Lo sfregio di Parolisi a Melania: "Era mammona e io la tradivo"

L’ex caporalmaggiore esce dal carcere dopo 12 anni con un permesso premio

Salvatore Parolisi, 45 anni, non si smentisce mai. Dopo 12 anni di carcere per l'omicidio della moglie Melania Rea, esce in permesso premio per 12 ore, parla per la prima volta - ieri sera a "Chi l'ha visto" su Rai 3 - e non fa un passo indietro.

Né sul fronte della colpevolezza: «Lo ripeto ancora una volta, sono innocente: non ho ucciso io Melania». Né sul fronte della sua immagine di macho. Non solo perché non si presenta come un uomo disperato, piegato da 12 anni di reclusione, ma perché si ripropone come il classico maschio alfa, con piglio sbruffone, che non poteva non tradire: «L'ho tradita mille volte, anche 4 anni con una francese, perché mia moglie mi lasciava solo ed era una mammona. Voleva addirittura dormire con la madre invece che con me». Poi il solito refrain: «Tradire qualcuno non significa essere un assassino. Io non l'ho ammazzata e invece adesso la gente ha mille pregiudizi nei miei confronti. Se trovassi un lavoro potrei uscire, ma chi me lo dà un lavoro? Quando sentono il mio nome e cognome fanno il deserto».

Parole che inevitabilmente fanno soffrire e indignare la famiglia di Melania. «Insiste ancora con questa pagliacciata che non ha ammazzato mia figlia - stigmatizza la mamma, Vittoria, 68 anni -. Quando venne arrestato disse che non vedeva l'ora di uscire dal carcere per trovare l'assassino di Melania. Voglio proprio vedere se lo trova. Si dovrebbe vergognare: è stato giudicato colpevole da tre gradi di giudizio».

Detenuto nella prigione modello di Bollate, l'ex caporalmaggiore dell'Esercito, sta scontando una pena di 20 anni per omicidio pluriaggravato. A tanto è stato condannato in Cassazione nel 2016, ma in realtà, in virtù della buona condotta, tra quattro anni potrà uscire definitivamente dalla sua cella. In primo grado era stato condannato all'ergastolo, nonostante il rito abbreviato, perché il giudice era partito dal carcere a vita con esclusione però dell'isolamento diurno proprio per effetto dello sconto di un terzo della pena. Al processo d'appello la condanna si è ridotta a 30 anni, per scendere a 20 di fronte agli Ermellini. Il delitto, il 18 aprile 2011, sconvolge l'opinione pubblica. Una giovane mamma di quasi 29 anni, originaria di Somma Vesuviana, provincia di Napoli, sparisce da un parco di Ascoli Piceno mentre il marito spinge la figlia sull'altalena. In realtà il corpo senza vita di Melania viene ritrovato due giorni dopo molto distante da quel parco giochi, in un bosco di Ripe di Civitella in provincia di Teramo. Colpita da 35 coltellate la ragazza ha i pantaloni abbassati e il segno di una svastica incisa su una coscia. Mentre Melania viene uccisa, sua figlia Vittoria di appena 18 mesi, dorme sul seggiolino dell'auto parcheggiata poco distante.

I sospetti si concentrano subito, sin dalla scomparsa della donna, su suo marito, istruttore di reclute nella scuola femminile dell'Esercito di Ascoli Piceno. Lui non partecipa alle ricerche, chiede alla sua ultima amante, la soldatessa Ludovica, di negare la relazione extraconiugale e cade in una miriade di contraddizioni. Parolisi in quei giorni parla in tv, sempre a "Chi l'ha visto" e a "Quarto Grado" su Retequattro, piagnucola la sua innocenza e continua a ripetere di avere tradito la moglie ma nega di averla uccisa.

Sullo sfondo del femminicidio il classico triangolo amoroso: lui, lei, l'altra. Salvatore aveva programmato con Ludovica una vacanza per il week end di Pasqua sulla costiera amalfitana per presentarsi ufficialmente ai suoi genitori. Ma sua moglie viene uccisa 5 giorni prima.

Ieri sera, in verità, Ludovica viene liquidata come «una semplice scappatella, ho raccontato una marea di bugie anche a lei. Non avrei mai lasciato Melania». E la madre della vittima perde la pazienza: «Salvatore non cambia mai. È sempre il solito bugiardo. Ma il guaio è che è anche uno spietato assassino, ha privato sua figlia della madre, meno male che gli hanno tolto la patria potestà. Oggi mia nipote non porta neppure più il suo cognome, si chiama Vittoria Rea». La ragazzina ha 13 anni, né compirà 14 a ottobre, e ha seguito un percorso per elaborare il lutto della mamma grazie all'aiuto di uno psicologo. «Su consiglio degli esperti le abbiamo raccontato la verità - precisa la nonna -. Mia nipote non vuol neppure sentire nominare il padre e per noi è una sconfitta il fatto che tra pochi anni potrà essere scarcerato. Nel nostro Paese si parla tanto di femminicidio ma poi alla fine non si fa nulla. Servono pene severe e certe, non sconti di pena come nel caso di Salvatore». E amara conclude: «La mia vita si è fermata nel 2011, quando è morta Melania. Vado avanti per mia nipote, per l'altro mio figlio, Michele. Ma a me e a mio marito la vita non ci appartiene più».

Pubblicato su La Nuova Venezia