Russia, mistero sulla morte del vice ministro Pyotr Kucherenko: perché temeva per la sua vita
Il giornalista Roman Super, fuggito da Mosca: «Mi aveva detto ‘Siamo tutti in ostaggio, se diciamo qualcosa ci schiacciano come scarafaggi’»
Il Vice ministro della Scienza e dell'istruzione superiore Pyotr Kucherenko è morto in circostanze ancora non chiare, dopo essersi sentito male sabato, sull'aereo che lo riportava in Russia da Cuba, insieme a una delegazione del governo. Dall'inizio della guerra, sono morti suicidi o per ragioni non spiegate 13 esponenti del mondo degli affari, sei dei quali dipendenti di due delle principali aziende dell'energia del Paese. «Kucherenko si è sentito male sull'aereo con cui rientrava, insieme alla delegazione russa, da un viaggio di lavoro a Cuba. L'aereo ha effettuato un atterraggio a Mineralny Vody, dove sono intervenuti medici ma Kucherenko non ha potuto essere salvato», ha reso noto il ministero, in una dichiarazione scarna pubblicata sul sito.
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L'autopsia sarà effettuata domani, ha reso noto il canale tv Zvezda. La famiglia ha ipotizzato un attacco cardiaco. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, oggi ha detto, rispondendo alle domande dei giornalisti, di non essere al corrente della morte del vice ministro. Il noto giornalista Roman Super, fuggito all'estero poco dopo l'inizio dell'invasione, ha reso noto sul suo canale Telegram di aver parlato con Kucherenko «pochi giorni prima di lasciare il Paese». Kucherenko gli aveva detto di aver paura per la sua vita e lo aveva incoraggiato a partire. «Salvati, e salva la tua famiglia. Lascia il Paese il prima possibile. Non puoi immaginare il grado di brutalità del nostro Paese. In un anno, non riconoscerai la Russia. Andandotene, fai la cosa giusta», gli aveva detto.
«Per me, non è più possibile lasciare la Russia. Hanno preso i nostri passaporti. E non c'è un posto disposto ad accogliere un vice ministro russo dopo questa invasione fascista», gli aveva detto, aggiungendo che stava assumendo anti depressivi e tranquillanti «a manciate, anche se non mi aiuta molto». «Dormo a fatica. E mi sento molto male. Siamo stati tutti presi ostaggio. Nessuno può dire niente. Altrimenti, ci schiacciano come scarafaggi».
Ora gli occhi sono tutti puntati sulla controffensiva: Kiev – secondo i suoi alleati – ha ricevuto abbastanza armi per penetrare le difese russe e riprendere almeno qualche pezzo dei territori occupati. Ma come garantire nel lungo periodo la sicurezza dell’Ucraina e più in generale la pace in Europa? Il Wall Street Journal spiega che il modello di sicurezza su cui sembrano convergere i leader occidentali, tra cui il presidente americano Joe Biden, è uno ispirato al rapporto di alleanza tra Stati Uniti e Israele. Un accordo di questo tipo dà chiaramente la priorità al trasferimento di armi e tecnologia avanzata, e rientra quindi nel piano l’addestramento e la fornitura di jet F-16. Il punto centrale è garantire la sicurezza dell’Ucraina, grazie a un sostegno militare di lungo periodo, tenendo conto che l’adesione di Kiev alla Nato non avverrà presto.
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L’idea è di formulare una serie di accordi di sicurezza vincolanti per fare dell’Ucraina un baluardo contro l’aggressività russa. E quest’accordo, o parte di questi accordi, dovrebbero essere firmati a luglio dopo il vertice Nato di Vilnius, in Lituania, scrive il Wall Street Journal. Secondo funzionari occidentali al corrente dei colloqui, il patto di sicurezza sarebbe legato “a un processo di avvicinamento dell’Ucraina a una futura adesione alla Nato”, ma senza rendere la Nato “parte in causa in un eventuale conflitto con la Russia”. Sembra una strategia apparentemente contraddittoria, ma la logica è questa: per l’Occidente è troppo rischioso avere l’Ucraina nell’Alleanza atlantica; dunque la si tiene fuori, però armata fino ai denti, sperando che questo faccia da deterrente a futuri attacchi russi, e in generale convinca Putin a rinunciare alle sue mire sull’Ucraina.
I contorni dell’accordo, anche se basati sul modello israeliano, restano ancora molto fluidi, spiega chi è a conoscenza dei colloqui. Israele non è un membro Nato e gli Stati Uniti non sono vincolati a soccorrerla in caso di attacco. I due paesi però sono legati da una speciale relazione, il che ha significato miliardi di dollari in assistenza militare (gli Usa dal 2019 al 2028 hanno stanziato 38 miliardi di dollari per Israele). Il calcolo è che di fronte a un’alleanza simile Putin si convinca che il sostegno militare dell’Occidente è destinato a durare nel lungo periodo. La convinzione di Putin infatti è che l’aiuto occidentale col tempo andrà scemando, e questo gli dà fiducia che se combatte abbastanza a lungo alla fine sarà lui a prevalere. “La Russia oggi deve capire che l’Ucraina ha queste garanzie di sicurezza e che queste non decadranno con il tempo o con l’affaticamento dell’Occidente”, ha detto il presidente della Polonia Andrez Duda, uno dei più convinti sostenitori dell’Ucraina, in un’intervista col Wall Street Journal.
A questo punto è interessante ricordare una voce fuori dal coro, quella di Henry Kissinger, ormai quasi centenario, che nei giorni scorsi ha avanzato una sua teoria, un po' controintuitiva, ma valida. Kissinger, ex segretario di Stato, decano delle relazioni internazionali, si è convinto che per il bene dell’Ucraina, dell’Europa, e “anche della Russia”, l’Ucraina deve essere ammessa subito nella Nato. L’Ucraina, dopo tutti questi aiuti militari, sarà contemporaneamente «il paese meglio armato d’Europa e quello con la leadership meno esperta dal punto di vista strategico», ha detto Kissinger all’Economist. «Per la sicurezza dell’Europa è meglio che l’Ucraina faccia parte della Nato, dove non può prendere (in modo autonomo) decisioni nazionali riguardo alle sue rivendicazioni territoriali».
Pubblicato su La Nuova Venezia