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Cade dalla bici, si frattura un braccio e muore dopo 40 giorni: aperta un’inchiesta

Brunella Pollon, 70 anni di Fossalta di Piave, si era rotta l’omero. Dopo l’operazione a San Donà, il calvario. Il dubbio della famiglia: non le sono stati prescritti farmaci anticoagulanti

Cade in bicicletta e si frattura un braccio. Viene operata per la riduzione della frattura ma in quaranta giorni la situazione precipita: Brunella Pollon, 70 anni di Fossalta di Piave, non ce la fa: muore il 14 aprile all’ospedale di San Donà.

Il marito e i figli della donna hanno presentato un esposto, a seguito del quale la pm Antonia Sartori ha aperto un procedimento penale, per ora contro ignoti, per il reato di omicidio colposo in ambito sanitario. L’autopsia disposta dal magistrato sulla salma della donna verrà effettuata lunedì 24 aprile.

Brunella Pollon, che non soffriva di alcuna patologia, il 4 marzo è caduta rovinosamente a terra dalla sua bicicletta: è stata quindi trasportata all’ospedale di San Donà dove, dopo i vari accertamenti, le è stata riscontrata la frattura scomposta dell’omero sinistro. L’indomani alla paziente è stato ingessato il braccio e le è stata prescritta una terapia analgesica in caso di dolori e il 10 marzo è stata ricoverata nel reparto di Ortopedia dello stesso nosocomio sandonatese per sottoporla al necessario intervento di osteosintesi per ridurre la frattura, con l’applicazione di placca e viti. Operazione perfettamente riuscita.

La signora Pollon è stata dimessa il 14 marzo in buone condizioni e nei giorni seguenti ha effettuato tutte le visite e i controlli previsti: il 17 marzo le è stata pulita la ferita, dieci giorni dopo le sono state rimosse le graffette. La donna, in verità, lamentava non pochi dolori al braccio operato, ma, come da indicazioni dei dottori, ha continuato ad assumere gli antidolorifici che le erano stati prescritti inizialmente.

Verso la fine di marzo, tuttavia, la signora accusava disturbi sempre più marcati, mancanza di appetito, di equilibrio e anche difficoltà respiratorie, unite al pallore, alla costante sensazione di freddo e anche ad alcuni momenti di confusione e scarsa lucidità.

I familiari hanno pertanto richiesto e ottenuto una visita a domicilio da parte dal medico di famiglia, il quale però avrebbe riscontrato che i parametri vitali erano a norma. La situazione tuttavia non è migliorata, anzi, ha continuato a peggiorare, al punto che il marito della vittima ha fissato alcune visite specialistiche neurologiche per capire l’origine dei disturbi della moglie. Che però, purtroppo, non ha fatto a tempo ad arrivarci. La sera del 13 aprile, infatti, la settantenne ha cominciato a lamentare problemi di respirazione sempre più forti, al punto che durante la notte, mentre il marito la accompagnava al bagno, si è accasciata e ha perso i sensi.

Immediato l’allarme al 118, è accorsa a casa della signora l’ambulanza del Suem di San Donà di Piave e i sanitari l’hanno subito condotta al Pronto Soccorso, ma nonostante tutti i tentativi di rianimazione non sono riusciti a salvarla e non è rimasto loro che costatarne il decesso, alle 2.45 del 14 aprile, dovuto ad un’embolia polmonare.

I medici, appreso della recente frattura e del conseguente intervento chirurgico a cui Pollon era stata sottoposta, hanno chiesto ai familiari se alla donna fosse stata regolarmente prescritta la terapia antitrombolitica raccomandata in questi casi, ma il marito ha riferito loro di come la moglie avesse assunto unicamente antidolorifici e di come non le fosse mai stato dato altro da prendere. Di qui il dubbio che il decesso di Brunella Pollon possa essere stato dovuto alla mancata prescrizione e assunzione di farmaci anticoagulanti.

I suoi congiunti, quindi, per fare piena luce sui tragici fatti, attraverso il responsabile della sede di San Donà di Piave, Riccardo Vizzi, si sono rivolti a Studio3A-Valore S.p.A., hanno presentato una denuncia querela ai carabinieri di San Donà, chiedendo all’autorità giudiziaria di disporre tutti gli opportuni accertamenti per chiarire le cause del decesso ed eventuali profili di responsabilità da parte dei medici che hanno curato la paziente.

Richiesta accolta dal magistrato con l’apertura di un fascicolo e i primi provvedimenti: acquisita e sequestrata tutta la documentazione clinica e disposta l’autopsia a cui parteciperà anche un consulente nominato dalla famiglia.

Pubblicato su La Nuova Venezia