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Napoli, sparano a un diciannovenne per errore: la morte assurda di Francesco il pizzaiolo

Alcuni giorni fa sicari avevano ferito un altro ragazzo. Alla base del delitto, forse un semplice piede «pestato»

NAPOLI. Il mare fuori, le sparatorie dentro. Francesco Pio Maimone detto Checco lavorava in una pizzeria e sognava di aprire una rosticceria con la sorella. È morto l’altra notte, a diciotto anni, colpito da una pallottola vagante mentre passeggiava tra gli chalet di Mergellina, su quel tratto di lungomare che soprattutto nei week end si affolla all’inverosimile ed è teatro di incidenti, risse, accoltellamenti e persino agguati. Solo pochi giorni fa, nello stesso tratto di strada, un commando è entrato in azione tra la folla per sparare a un baby boss (nell’ambito della cosiddetta “guerra dello scudetto”) che per una allarmante coincidenza vive nello stesso quartiere di Francesco: Pianura.

Secondo la prima ricostruzione il 18enne, estraneo agli ambienti criminali, era fermo vicino a un chiosco sul marciapiede lato scogliera insieme con gli amici quando sono stati esplosi i colpi. All’origine, secondo la versione più accreditata, ci sarebbe stato un litigio tra due gruppi di giovanissimi, uno scontro nato per quelli che si usa indicare come futili motivi (in genere solo pretesti per dare libero sfogo alla rabbia): di solito è uno sguardo di troppo ma in questo caso pare per una scarpa sporcata. Stando ai racconti dei testimoni tutto si è svolto in pochi attimi, un raid che è sembrato quasi una stesa con l’omicida che ha sparato sia in aria che nel mucchio, dunque con l’intenzione di uccidere. Mentre si scatenava il panico il ragazzo si è accasciato in un lago di sangue, gli amici terrorizzati hanno compreso la gravità della situazione e piuttosto che aspettare l’ambulanza (è una zona di ingorghi micidiali) lo hanno trasportato con una macchina all’ospedale Pellegrini. Sforzi vani, i medici non hanno potuto salvarlo.

A dar voce al dolore della famiglia è Monica d’Angelo, seconda moglie del padre, la donna che l’ha cresciuto sin da piccolo: «Siamo tutti sotto choc. Checco era un bravissimo ragazzo. Era un grande lavoratore, il suo progetto era quello di aprire una rosticceria. Aveva anche individuato il posto: Cappella Cangiani». E su quanto accaduto l’altra notte aggiunge: «Lui non c’entra proprio niente con la faida di Pianura. Aveva finito di lavorare in pizzeria ed era uscito con gli amici per rilassarsi un po’. Non c’è stata nessuna lite, stava mangiando le noccioline quando ha sentito gli spari, un proiettile lo ha colpito in petto ed è morto». Un dato confermato dagli investigatori: «Stando a quanto sinora emerso non era lui l’obiettivo».

Allargano le braccia anche i dipendenti degli chalet: «Non ne parliamo, come la settimana scorsa, un altro ragazzo, che peccato. A un certo punto c’erano una ventina di auto di polizia e carabinieri, impressionante, magari se qualcuna fosse stata lì prima si sarebbe potuto evitare altro sangue, chissà. Nei fine settimana non si capisce niente, è una bolgia, vengono tutti qui perché è l’unico posto dove si può bere una cosa, mangiare un gelato o pigliare un caffè stando vicino al mare. È il mare dei ricchi, delle barche belle, ma almeno per qualche ora è anche quello dei poveri. Così ti senti un po’ ricco pure tu». Sicuramente degna di adeguati approfondimenti sociologici (e antropologici) la sintesi del barista offre una nitida fotografia della movida di Mergellina: qui, al confine tra Chiaia e Posillipo, gli agiati e i facoltosi partecipano allo stesso caos (quantomeno quello del traffico) dei ragazzi delle tante, troppe periferie napoletane. La stessa bolgia, per chi il panorama più bello (da poco celebrato dal New York Ttimes) se lo gode pure dal terrazzo di casa e per chi (la stragrande maggioranza) se lo può permettere solo per il tempo di un frullato, una birra, una passeggiata. Sempre che non ti sparino prima.

Pubblicato su La Nuova Venezia